Crisi, Media e Territori

Sabato 23 Giugno 2018 dalle ore 17.30
Piazzetta di Via Imbriani, subito dopo il Cinema PostModernissimo.

Crisi, Media e Territori
ne parliamo con Silvano Cacciari, docente di Estetica della Comunicazione presso l’Università di Firenze.
Incontro pubblico a cura del collettivo Città Senza Centro.

Oggi ciò che è importante nel territorio in termini di sicurezza viene prima di tutto elaborato dal circuito mediatico. Sono quindi i media territoriali, la carta stampata e la televisione di tipo generalista, che si sono impadroniti dei temi del territorio dettando la linea su ciò che è emergenza e ciò che non lo è, cosi facendo decidono quali politiche securitarie scatenare sul territorio, a prescidendere dalla possibilità di intervento concreto e dalle indicazioni date dall’urbanistica, che da questo punto di vista diventa una scienza sempre più periferica di regolazione del territorio.

Approfondimento

La Città Impresa

Con l’affermarsi del modo di produzione capitalistico la città diventa sempre più una variabile del processo economico. Un processo la cui dinamicità impone una continua mutazione dell’essere stesso della città, della sua organizzazione spaziale e sociale.

Nel secondo dopoguerra il contrasto geopolitico tra i blocchi e la necessità di arginare il conflitto di classe portano all’affermarsi del Welfare State ((Il processo storico ha mostrato un “doppio legame” tra lotta di classe e stato sociale. da un lato la lotta di classe e i rapporti di forza, in quella fase a favore dell’operaio massa, hanno costretto stato e capitale a redistribuire il reddito. dall’altro questa redistribuzione finiva per essere 2 volte serva del capitale:
-1- serviva a risolvere la crisi di sovrapproduzione di capitale emersa nel 29 e non risolta nemmeno dalla 2′ guerra mondiale.
2- serviva a creare quel consenso sociale che ha permesso al sistema di soppravvivere in una fase storica in cui sembrava poter essere rovesciato dal potere conquistato dall’operaio massa.)) , cioè di una serie di provvedimenti politici che toccano la questione urbana ( politiche per la casa, l’assistenza sanitaria, le pensioni, l’istruzione di massa e il contrasto alla disoccupazione).

Negli anni ’80 gli equilibri politici mondiali cambiano e comincia ad emergere quella che verrà definita la crisi fiscale dello Stato a cui si risponderà con una cultura politica di restaurazione e di smantellamento dello Stato Sociale. Il liberismo estremo, portato avanti dal Thatcherismo e Reaganismo, diventerà la filosofia politica di tutti i paesi occidentali che in suo nome avviarono processi di deregolazione dei flussi finanziari, di tassazione indiretta, di vendita del patrimonio pubblico, di riduzione della spesa pubblica… In questo contesto la questione urbana assume la faccia della povertà, della drastica riduzione dell’assistenza sociale, della divisione di classe dello spazio, della crescita del disagio e della marginalità sociale.

Come scrive F. Indovina ((Francesco Indovina, la nuova “questione urbana” in “ARCHIVIO DI STUDI URBANI E REGIONALI” 110/2014, pp. 147-154, DOI:10.3280/ASUR2014-110010)) la vittoria (a livello sociale e istituzionale) della politica liberista degli anni ’80 “ha creato da una parte l’esaltazione dell’individuo con, di fatto, la distruzione o la messa in crisi di tutti i corpi intermedi e la riduzione del conflitto, dall’altra ha ridotto la capacità di intervento pubblico, limitandone le risorse. In questa situazione ha preso corpo e tende a svilupparsi una nuova forma politica che potremmo chiamare social-liberista, una politica che non cerca di affrontare le questioni sociali strutturali in campo (la disoccupazione, l’immigrazione, la casa, l’invecchiamento della popolazione, la salute, la povertà, ecc. e soprattutto il super potere della finanza internazionale) ma piuttosto individua nel partenariato pubblico-privato lo strumento per la mobilizzazione del capitale ((Nel partenariato pubblico-privato è interessante notare come la politica social liberista abbia fortemente ridimensionato la capacità di orientare la ricerca verso interessi pubblici e di carattere sociale: il paradigma da seguire è quello del mercato per cui la ricerca si orienta seguendo i suoi andamenti.
Un esempio è il caso del nocciolo, su cui diverse regioni italiane stanno facendo ricerca dal momento in cui Ferrero ne ha richiesto quantità industriali: l’interesse della casa multinazionale è quello di risparmiare sulla materia prima nel momento in cui non era più possibile farlo con i mercati esteri.)), per sfuggire ai vincoli di bilancio pubblico, e per offrire all’opinione pubblica ricette nello stesso tempo ambiziose e spesso fasulle.

Il terreno fertile per questa nuova dimensione social-liberista è soprattutto la città e l’organizzazione del territorio.

Parafrasando D. Harvey, la recentissima e radicale espansione del processo urbano ha comportato una straordinaria trasformazione degli stili di vita. La qualità della vita urbana, e la città stessa, sono divenute una merce riservata a coloro che hanno i soldi, in un mondo in cui il consumismo, il turismo, l’industria della cultura e della conoscenza, così come il perenne ricorso all’economia dello spettacolo, sono diventati i principali aspetti dell’economia politica urbana. La tendenza postmoderna a incoraggiare la formazione di mercati di nicchia, sia nella scelta di uno stile di vita urbano sia nelle abitudini di consumo anche culturale, conferisce all’esperienza urbana contemporanea un’aurea di libertà di scelta sul mercato, purché si possiedano sufficienti mezzi finanziari e si riesca a proteggersi dalla privatizzazione della ricchezza circolante e dalle pratiche fraudolente e predatorie dei colletti bianchi. Centri commerciali, cinema multisala e ipermercati nascono come funghi (mettendo in moto un grosso giro d’affari), così come i fast food, i mercati dell’artigianato, i negozi etnici e i caffè, insieme alla vendita di stili di vita comunitari e sofisticati che finiscono con il produrre quella che S. Zukin chiama “pacificazione con cappuccino”.

 

Alla crisi del Welfare, alla drastica riduzione dei trasferimenti statali agli enti locali, le città e i territori rispondono facendosi una concorrenza spietata per l’accesso ai mercati globalizzati, alle risorse e alle attività, che vanno dall’investimento estero, al turismo, alle manifestazioni internazionali. Oggi la città non solo espone le sue merci ma diventa merce essa stessa, merce di consumo da esporre sul mercato mondiale. Le città competono tra di loro con strategie di marketing urbano e la promozione del branding urbano diventa un elemento fondamentale per attrarre nuovi residenti, nuovi turisti ma soprattutto nuove imprese ((Per comprendere meglio gli effetti della competizione tra città per attrarre imprese, persone e investimenti si guardi al caso Amazon. Attraverso un bando che invita le città nord americane a candidarsi per ospitare il secondo quartier generale del gruppo, si è instaurata una corsa tra 238 città: chi la vincerà si aggiudica 5 miliardi di dollari in investimenti e cinquanta mila posti di lavoro “pagati molto bene”.
Nel bando è ben descritto quali caratteristiche devono avere le città e cioè dovrà trattarsi di un’area metropolitana con almeno un milione di abitanti, un ambiente business friendly – documentato da testimonianze di grandi compagnie già attive nella zona – buone scuole e università tali da attrarre e mantenere in loco talenti e forza lavoro altamente qualificata, un’ottima dotazione in infrastrutture e trasporti. Requisiti irrinunciabili sono anche una adeguata offerta residenziale, un basso livello di criminalità, un’ampia diversificazione demografica e una ricca gamma di servizi e amenità ricreative, perché, dice il bando, “ vogliamo investire in comunità dove i nostri dipendenti possano godere di un’alta qualità di vita”.
Ovviamente, la compagnia chiede di specificare gli incentivi finanziari offerti dai governi locali e statali (pagati dai cittadini contribuenti), nonché la disponibilità ad approvare nuove leggi ad hoc per aumentare la convenienza finanziaria dell’investimento. Inoltre il bando specifica che sono accettabili sia zone urbane che suburbane, vuote o con edifici abbandonati, purché in posizione pregiata e con molto spazio, e che Amazon vuole avere a che fare con “comunità che pensano in grande e in modo creativo quando si tratta di localizzazioni e scelte di sviluppo”, vale a dire sono disposte ad adottare norme e regolamenti edilizie e urbani tali da non rallentare le sue attività di costruzione.Fra le candidate spicca Detroit, che offre miliardi di dollari di sgravi in cerca di un rilancio non legato solo all’industria automobilistica. New York mette sul piatto il successo di Google in città e le sue infrastrutture, dagli aeroporti alle universita’, per conquistare Amazon, alla quale non offre però sgravi. Punta molto sulle agevolazioni il governatore del New Jersey, Chris Christie, che propone ad Amazon agevolazioni per 7 miliardi di dollari. Secondo alcuni è pero’ Austin, in Texas, la città favorita per i bassi costi della vita anche a fronte di una qualita’ elevata e per le norme pro-business del Texas.
FONTI
http://www.eddyburg.it/2017/09/hq2-il-bando-di-amazon-che-scatena-la_11.html
http://www.ladige.it/popular/tecnologie/2017/10/25/amazon-programma-seconda-sede-battaglia-238-citt-americane
http://www.huffingtonpost.it/2017/09/08/jeff-bezos-fondatore-di-amazon-vuole-creare-un-secondo-quartier-generale-dopo-quello-di-seattle_a_23201302/)) . Questa sfida si gioca sui vantaggi competitivi offerti dagli specifici ambienti e per vincere tale sfida non basta predisporre solamente un’offerta, s’impone che le città i territori diventino a tutti gli effetti, fabbrica di merce, in primo luogo di merce forza-lavoro, di “capitale umano” in determinate quantità e qualità. In questa dinamica gli interessi economici privati finiscono con l’assumere, il più delle volte, le funzioni di governo che determinano e predefiniscono la città, la sua forma, la sua vita. Sempre più frequentemente gruppi industriali-finanziari sono coinvolti nei progetti di valorizzazione del patrimonio immobiliare esistente o direttamente nel campo delle grandi opere. In tutti i casi il territorio finisce con l’essere sacrificato sull’altare della massimizzazione del capitale e della rendita per pochi.

Come osserva D. Harvey: “I risultati della crescente polarizzazione nella distribuzione della ricchezza e del potere sono indelebilmente impresse nelle forme spaziali delle nostre città, che sono sempre più costituite da frazioni fortificate, da comunità chiuse e da spazi pubblici privatizzati e tenuti costantemente sotto sorveglianza.”

SEGUE:  L’Agenda Urbana Europea

Agenda Urbana Europea

Oggi, l’agenda urbana europea approvata nel cosiddetto “patto di Amsterdam” (maggio 2016) considera le città come i nuovi motori della strategia europea di sviluppo. La maggior parte delle persone ormai vive in ambienti urbani: per l’Europa nel 2014 la quota era del 72 % e nel 2030 si prevede che raggiunga il 78% della popolazione. A seguito della globalizzazione dei mercati e della ristrutturazione del sistema economico-produttivo, l’Europa si trova ad affrontare nuove sfide che si riassumono nella parola chiave della “coesione sociale” minacciata dalla polarizzazione sociale e dall’emarginazione urbana, dalla crisi ambientale/ecologica, “dall’assalto” dei disperati che facciamo annegare nel mediterraneo o rinchiudere nei lager libici.

Le città medie e piccole in Europa rappresentano ancora la spina dorsale del territorio e svolgono un ruolo decisivo ai fini della “coesione sociale e dello sviluppo”. La commissione europea rileva come l’Europa sia caratterizzata da strutture urbane policentriche e meno concentrate rispetto a Cina e Stati Uniti. L’Europa presenta due soli grandi agglomerati: Parigi e Londra accanto ad un considerevole numero di grandi regioni urbane, dense reti di città di piccole e medie dimensioni. In tendenza si assiste all’emergere di mega regioni urbane policentriche che costituiscono reti di città di piccole e medie dimensioni.

Secondo le direttive comunitarie il futuro sviluppo urbano dovrebbe essere basato su:
una crescita economica equilibrata;
su forti regioni metropolitane ed altre aree urbane con una buona accessibilità ai servizi di interesse economico generale;
su una struttura composta da insediamenti abitativi con limitata espansione dove si riqualifica l’esistente piuttosto che costruire ex-novo.
L’obiettivo è realizzare un governo fortemente territorializzato dove le città che diventano un luogo attrattivo ed interattivo sono la base per realizzare un modello di europeizzazione soft, che passa attraverso la convergenza verso un modello unico condiviso di governance.
Questa europeizzazione soft che viene presentata come un’indicazione e una via d’uscita dalla crisi, si articola secondo tre direttrici:

  • aiutare le zone urbane a sviluppare le proprie infrastrutture materiali quale base per la crescita economica;
  • aiutare le zone urbane a modernizzare le loro specificità economiche e sociali con investimenti in servizi tecnologici:
  • aiutare le zone urbane a riqualificarsi recuperando siti industriali e bonificando terreni contaminati cercando di creare legami più stretti fra aree urbane e rurali;

Strategia Europa 2020 ritiene che il motore di sviluppo di un’economia della conoscenza vada individuato nelle aree metropolitane e nelle regioni funzionali. In questo contesto i confini amministrativi delle città definite in epoche storiche precedenti non sono più adeguati all’idea di città moderna o “città metropolitana” tecnologicamente avanzata e con relazioni ed interconnessioni a rete con il mondo globale. Questo concetto di città aperta o infinita supera i vincoli della contiguità territoriale e mette al centro le funzioni come ad esempio la logistica, la mobilità che consentono di governare i flussi di merci e persone di una vasta area.

Più che di città in senso stretto si tende a parlare di “ area metropolitana “ , ovvero di un addensamento di funzioni e servizi capaci di costituirsi come nodo di una rete globale europea. Con la categoria di “area metropolitana” la politica europea tenderà a trasformare la sua attuale politica redistributiva, tesa a sostenere le regioni in ritardo di sviluppo, in una politica di sviluppo strategico volta a potenziare le “ eccellenze”. La concentrazione di consumatori, lavoratori ed imprese unitamente ad istituzioni formali ed informali in una zona o area rappresenta qualcosa di più di un semplice centro abitato: il 67% del Pil europeo viene prodotto in regioni metropolitane sebbene la loro popolazione rappresenta solo il 59% del totale dei suoi abitanti.

Precedente: La Città Impresa
Seguente: Smart City Smart People

Smart City Smart People

Smart city

Il nuovo modello di espressione del capitalismo urbano è la Smart City. Attraverso la realizzazione di moderne infrastrutture materiali e immateriali, il capitalismo cerca di riprodurre le condizioni di una maggiore accumulazione a prescindere dai reali bisogni dei territori. Nello scenario della crisi economica la Smart city rappresenterebbe un’occasione per aprire immensi mercati ridisegnando i modi di vita delle e nelle città. Imprese commerciali, di distribuzione e produzione di tecnologie digitali, banche, multinazionali e governi regolano i dispositivi di questa rivoluzione urbana in funzione del profitto. Nella modalità predatoria più classica del capitalismo si espropriano proprietà pubbliche, risorse umane e naturali per metterle al servizio degli investimenti e dei profitti. In un momento di profonda crisi dell’economia occidentale, la “città intelligente” diventa il luogo di punta degli investimenti e dell’accumulazione e spazio, in cui tutti i rapporti e le domande sociali vengono piegate a logiche di mercato ((Al 30 2016 giugno di quest’anno le StartUp Innovative italiane hanno toccato quota 5.943, in crescita di oltre 500 unità rispetto al trimestre precedente.

Giorgio Mencaroni, Presidente della Camera di Commercio di Perugia: “In Umbria al 30 giugno di quest’anno risultano operative 91 StartUp Innovative. Di queste, 67 in provincia di Perugia. Numeri ancora non molto alti – l’Umbria è 17esima nella graduatoria delle regioni italiane – ma che tuttavia cominciano ad avere un loro spessore. A Perugia le 67 StartUp Innovative rappresentano lo 0,42% delle Società di Capitali della provincia e l’1,13% di tutte le StartUp Innovative italiane. Occorre puntare e sostenere questa tipologia di impresa orientata verso percorsi di Innovazione, capace di favorire la crescita sostenibile, lo sviluppo tecnologico e l’occupazione, in particolare giovanile. Le StartUp Innovative contribuiscono allo sviluppo di nuova cultura imprenditoriale, alla creazione di un contesto maggiormente favorevole all’innovazione, promuovono maggiore mobilità sociale e attraggono in Italia talenti, imprese innovative e capitali dall’estero”. http://www.umbriaon.it/startup-innovative-crescono-in-umbria/)).

Smart City Smart People

Una “città intelligente” naturalmente non si crea se al suo capitale tecnologico manca un adeguato capitale sociale. Non si tratta semplicemente di diffondere l’uso delle tecnologie digitali tra la popolazione urbana ma di formare cervelli, sensibilità, conoscenze e stili di vita individuali e collettivi corrispondenti. Una nuova ideologia quotidiana funzionale, un universo simbolico, di valori e norme comuni che legittimano, valorizzano e fanno girare i dispositivi della “città intelligente”. Il controllo sociale nel nuovo modello urbano passa essenzialmente attraverso la comunicazione, la fabbricazione di soggettività e coscienza. Più nello specifico possiamo vedere come la multinazionale Cisco, tramite l’accordo stipulato con il Comune di Perugia in data 14 Dicembre 2016 si sta immettendo all’interno dei programmi scolastici locali formando studenti in Cybersecurity e Internet of Things. La campagna di educazione porta il nome di “Programma Cisco Networking Academy” e formerà gli studenti quasi unicamente ai linguaggi ed alle tecnologie Cisco. Il percorso formativo più importante è il CCNA, Cisco Certified Network Associate , organizzato in 4 moduli, che fornisce le compentenze per diventare un esperto di networking. Al termine del corso viene rilasciato l’attestato Networking Academy Skills che dà diritto a sostenere, presso un ente di certificazione, l’esame per ottenere la certificazione CCNA , il primo livello delle certificazioni individuali Cisco. In conclusione l’istruzione proposta dalla multinazionale dal Comune è quella estremamente professionalizzata già dalle scuole superiori, ma con scarse opportunità di ricollocamento in imprese od enti che non usano la tecnologia Cisco.
Per quanto riguarda la modalità del lavoro inoltre Cisco incita la creazione di Start-Ups ((Officine Fratti “è un progetto volto alla promozione di percorsi di rigenerazione urbana del centro storico, attraverso l’imprenditorialità giovanile e le professioni culturali e creative”.
Questo bando indetto dal dal Comune di Perugia con altre aziende private, seleziona 8 giovani tra i 18 e i 35 anni offrendo una borsa-lavoro di 500 € cadauno. Le figure ricercate sono molto vaghe in quanto inoltre a studenti, professionisti e micro imprenditori è alla ricerca di “Makers”; lavoratori per lo più intellettuali, come creativi o artigiani 2.0. http://www.comune.perugia.it/pagine/officine-fratti-creative-space)), la creazione di lavoro 4.0 ecc. ecc. Qui il Comune di Perugia sembra avere le idee molto chiare in quanto indice bandi e gare per finanziare queste attività che poi creano tipologie di lavoro più precarie che mai: contratti senza garanzie con una paga che non considera l’impegno che i candidati devono affrontare e non gli permette di sopravvivere se non cercando anche altre risorse.

Precedente: Agenda Urbana Europea

La città è una fabbrica e il target è la tua mente

La città, lo spazio urbano e le reti di comunicazione che la innervano, così come l’acqua, l’aria e la terra, si presentano come condizione comunitaria, generale della produzione capitalistica. Il capitalismo usa queste condizioni di produzione in modo distruttivo e così facendo crea un conflitto di classe (( La città, con il capitalismo, è divenuta strumento dei processi di alienazione ma anche luogo della possibilità e della chance rivoluzionaria. La dicotomia città-campagna è ormai superata e la formazione di grandi centri abitati è la tendenza, ormai in tutto il mondo. L’urbanizzazione in questi termini in paesi come la Cina e le sue megalopoli ha spinto milioni di persone a migrare verso le città con la costituzione di immensi ghetti fortemente controllati con telecamere, muri di cinta e posti di guardia; abitati per lo più da ex-contadini e lavoratori migranti. Questi ghetti hanno spinto la borghesia, in preda a nevrosi securitarie, in costante crescita non solo in Cina ma anche nel resto del mondo n.d.r,  e chiudersi in ghetti per ricchi.

I problemi di controllo che derivano dalla vecchia idea di periferia, vista come focolaio di possibili rivolte porta alla trasformazione degli stessi in quartieri dormitorio privi di socialità ma con l’unico scopo della creazione quindi di città-macchina, in cui gli abitanti devono tendere ad un’umanità macchinizzata. Questa concezione viene sviluppata nella “Carta d’Atene” nel ’33 da un pool di architetti di importanza mondiale.

Nonostante tutto la conflittualità espressa dai territori con i propri rapporti sociali e culturali è comunque sia viva, ne sono esempio in Italia realtà come quella del movimento No Tav in Valle di Susa o le rivolte nei quartieri napoletani durante la crisi dei rifiuti del 2005, o come in Francia nelle rivolte delle banlieues.

La riappropriazione della città, con i suoi modi diversi di socialità e cultura è una possibilità concreta per la creazione di una lotta di classe che vada contro il delirio totalitario dell’economia e della governance, con la creazione di un immaginario condiviso nuovo e nuovi desideri. https://ilconformistaonline.wordpress.com/2015/03/20/la-lotta-per-liberare-lo-spazio-urbano-sara-la-nuova-lotta-di-classe/))  che si presenta sotto forme indirette e non consapevoli (non immediatamente come conflitto di classe) nelle forme della questione del benessere fisico e mentale delle persone, della socialità mercificata, della qualità ambientale, dell’istruzione, della sanità, di impiego delle risorse naturali etc. Il capitale tende a trattare le condizioni collettive e generali della produzione come lo spazio urbano, la natura, la cultura etc. come merci. Diventa sempre più chiaro che sia lo spazio urbano che la natura sono espropriati dal capitale che li tratta come strumenti della propria riproduzione e non come mezzi di riproduzione della vita e della società umana.

La nuova ideologia urbana delle “smart city” tenta di recuperare l’illusione di comunità (ecologica, sostenibile, inclusiva etc.), della coincidenza tra spazi di vita e di lavoro, proprio mentre l’associazione tra precarietà e disgregazione sociale si fa sempre più stretta e la società risponde sempre più ad una logica di esclusione e di separazione fra le classi.

Il paradigma culturale che accompagna questa idea di città intelligente si fonda su tre concetti fondamentali: informazione, ecosostenibilità, inclusività. Sono queste le categorie con cui si cerca di orientare la mentalità, gli stili di vita e i linguaggi della popolazione urbana. Al di là dell’ideologia ufficiale però lo spazio urbano, le condizioni ambientali e sociali dei territori, vengono subordinati alla crescita del mercato che crea forme auto-distruttive di proletarizzazione della natura umana, del benessere fisico e mentale dei lavoratori. Queste forme di mercificazione producono costi sociali crescenti sotto forma di costi per la salute, per fronteggiare il deterioramento dell’ambiente sociale e naturale, delle condizioni personali di esistenza delle persone.

Lo sfruttamento economico, il nuovo valore ideologico per eccellenza, le contraddizioni che genera vengono risolti come nuove contraddizioni interne agli individui, liquidando il Welfare, creando divisioni nella forza-lavoro multietnica, sottraendo il controllo del territorio alle comunità locali, desertificando socialmente quartieri e strade, imponendo agli sfruttati politicamente l’autodisciplina ed economicamente l’austerità e la flessibilità. In particolare negli scenari urbani, luoghi di nuove polarizzazioni sociali e di strisciante conflitto si è dato vita all’amministrazione di una “sicurezza ideologica” organizzata creando un’insicurezza molecolare permanente fatta di mille piccole paure quotidiane. Il comando capitalista governa il territorio infiltrando la paura nella coscienza degli sfruttati e introducendo ideologie funzionali come quella del “decoro urbano”. Come ha scritto “Zeropregi” sul blog del Manifesto:

<<Leggo testuale dal giornale di ieri: “Sicurezza, più militari e accattonaggio vietato vicino ai monumenti”. E aggiungo: “Più poteri ai sindaci di difendere i centri storici ed i monumenti delle nostre città. Al sindaco dovrebbero essere concessi dei poteri di ordinanza relativi all’ordine pubblico, modello movida, per rendere alcune zone del centro off limits anche all’attività di accattonaggio e carità molesta”. Oggi invece prende forma un’idea che a giudicare folle, se non bestiale, è dir poco. Sempre dal Messaggero ma di oggi: “Stretta sul decoro: ipotesi Daspo per prostitute e mendicanti”. E nell’articolo viene spiegato meglio: “Affidare maggiori poteri di polizia a questori e prefetti anche in materia di decoro e degrado urbano. Ovvero dar loro la possibilità di intervenire su temi che vanno dalla prostituzione al cosiddetto accattonaggio, passando per i locali notturni troppo rumorosi, con provvedimenti interdittivi. Per fare l’esempio più noto alle cronache, l’ipotesi su cui sta lavorando il ministero dell’Interno, darebbe a questori e prefetti la possibilità di applicare anche in queste materie ordinanze analoghe al Daspo, il provvedimento col quale attualmente possono impedire l’ingresso allo stadio ad alcuni tifosi, a prescindere da eventuali responsabilità penali.

Ma che significa “decoro”? Un normale dizionario spiega che il decoro è un “complesso di valori e atteggiamenti ritenuti confacenti a una vita dignitosa, riservata, corretta”. Quindi ha poco a che vedere con la povertà. Offrire una vita dignitosa dovrebbe essere un obiettivo di qualsiasi governo, contrastare la povertà idem. Il problema è che non si combatte la povertà bensì chi è povero. La parola decoro viene unita alla parola degrado e il tutto associato all’insicurezza. I “bloggers antidegrado” accozzaglia discutibile di personaggi che lanciano le loro crociate on line verso poveri, migranti e rom tanto quanto contro i disservizi della città diventano punto di riferimento per gli stessi amministratori cittadini. Quindi se la città è sporca è colpa di chi rovista nei cassonetti. Se i mezzi pubblici sono fatiscenti è colpa di chi non paga il biglietto. Se il patrimonio pubblico/artistico di questa città è tenuto male è colpa degli hooligans venuti da fuori o di chi mendica, creando un circolo vizioso che contrappone gli indigenti ai cittadini, come se entrambi non fossero parte dello stesso tessuto sociale. Con i suoi pro e i suoi contro. Nel frattempo nessuno denuncia il fatto che gli stessi governanti, attraverso i tagli alla cultura e ai servizi, sono i primi a creare lo stesso “degrado” che cercano di sconfiggere a colpi di ordinanze.

Una cosa è certa che “l’ideologia del decoro” è qualcosa che coinvolge amministrazioni di destra e di sinistra, per una trasversalità pericolosa. Una ideologia perversa, moralista, che non crea cittadinanza, non crea solidarietà ma piccoli sceriffi armati di smartphone pronti a fotografare il mendicante di turno o chi rovista nei cassonetti. I nuovi nemici da combattere sono quelli che raccolgono le briciole di quel che consumiamo. Quelli che non vestono come noi o che non hanno la stessa “accessibilità ai consumi”. Un egoismo sociale, moralista appunto, che fa del cittadino educato che non butta le carte in terra, un buon cittadino. Che crea disuguaglianze invece di costruire un tessuto sociale. Che fa leva sulle paure di chi ci sta intorno invece di liberarci dalle paure. Che trova il degrado nella prostituta e non nello sfruttatore, nelle reti della tratta, o anche semplicemente nel cliente della prostituta, il problema. Importante è che non parcheggi in doppia fila e che paghi puntualmente il biglietto.>>

Cosa succede in città

Anche a Perugia, sotto la compressione della cosiddetta “crisi economica” la già fallimentare “socialdemocrazia dal volto urbano” ha ricevuto il colpo di grazia, con essa le sue strategie basate su politiche di decentramento dei servizi, di spesa statale per la ricostruzione artificiale delle identità dei quartieri indirizzate a “tenere insieme la città'”.

In uno scenario di stagnazione e recessione economica, le manovre di risanamento del debito, adottate dai diversi governi nazionali, hanno comportato una drastica riduzione della spesa pubblica e un conseguente taglio dei trasferimenti sociali, che tanto contano nella formazione del reddito disponibile per gli umbri. Nessuna manovra di razionalizzazione finanziaria e di aggiustamento del bilancio può compensare queste perdite.

La struttura produttiva di questa regione del resto è sostenuta da una base di microimprese, spesso in sub-fornitura per aziende esterne al territorio locale con un mercato del lavoro nel quale il peso dell’occupazione e le forme del lavoro precario e con contratto a tempo determinato e’ superiore alla media nazionale. L’area del precariato, già rilevante, si è andata ulteriormente consolidando, al punto di contare – dati 2012- su ben 59.000 contratti part-time, 44.000 a termine e 8.000 tra collaborazioni coordinate e avventizi che includono ben 2.486 lavoratori a chiamata. La ridotta dimensione delle imprese accompagnata da un’alta incidenza del lavoro in subfornitura significa, nella maggioranza dei casi, che le imprese umbre si posizionano su “segmenti a basso valore aggiunto nella catena del valore” e che il mercato del lavoro ha difficoltà ad occupare i giovani, persone con livelli di istruzione medio-alti e soprattutto le donne.

Per questo si comprendono abbastanza chiaramente i motivi per cui un sistema di potere locale, in cui la spesa pubblica serviva solo a mascherare e proteggere le debolezze strutturali del sistema produttivo e a funzionare da base di consenso politico, sia attraversato da una profonda crisi.

A partire dagli anni ’80 lo smantellamento dell’apparato dello stato sociale si è tradotto su scala urbana in imponenti tagli alle spese, ai pubblici servizi e in un’ondata di privatizzazioni che ha acuito le disuguaglianze e l’esclusione sociale. A questo la politica locale non ha saputo dare nient’altro che una risposta aleatoria, molta retorica nella valorizzazione della dimensione comunitaria, sfruttamento del “terzo settore”, interessi del sistema delle cooperative, che il più delle volte, celano l’utilizzo di manodopera altamente sottopagata e precarizzata rinforzata da una “insalubre ” legislazione nazionale sul lavoro.

Negli ultimi venti anni, l’idea di rivitalizzare socialmente la città trattandola prevalentemente come spazio economico, con l’obiettivo dominante se non unico di attrarre capitali e flussi turistici, si è tradotta semplicemente in una violenta eliminazione degli spazi collettivi, nella cancellazione del valore d’uso di strade, piazze, giardini.

La questione del “degrado del centro storico” è stata l’emblema di una logica imprenditoriale di governo della città con cui si è costruita una falsa “messa in cornice” della città come prodotto. La cosiddetta “riqualificazione” del centro storico, sotto i vecchi paradigmi della “rendita urbana” si è rivelato un vero e proprio disastro.

Il “paradigma della rendita urbana” prescrive che il valore complessivo di una città e delle sue singole aree o edifici dipende dalla quantità di capitale fisso sociale che essi incorporano in termini di infrastrutture, servizi materiali e immateriali ecc. Ma questa valorizzazione senza adeguate contro-misure alla fine si traduce in un maggior costo d’uso dello spazio urbano, vedi anche i progetti di ristrutturazione di Monteluce attualmente in corso ((la Regione Umbria decide di costituire un ‘Fondo chiuso con apporto’ per dismettere e valorizzare l’area dell’ex ospedale di Monteluce a Perugia, in accordo con gli altri proprietari, Comune di Perugia, Università degli Studi e Azienda ospedaliera di Perugia, affidando all’ istituto finanziario Nomura, partner abituale delle amministrazioni umbre, il coordinamento dell’operazione di costituzione di un fondo immobiliare, cui i partner pubblici apportano un valore immobiliare di 52 milioni di euro, ricevendo in cambio un numero di quote di 250mila euro di valore ciascuna.
Dopo anni di gestione da parte del fondo immobiliare gestito da Bnp Paribas e Nomura International Plc, il valore delle quote, in seguito trasferite a Gepafin, ma con perdite sempre a carico della Regione e dell’Università, è progressivamente sceso in misura di gran lunga maggiore rispetto alle perdite registrate sul valore degli immobili della zona.
Per ora la Regione detiene il 22,5% delle quote, l’Università il 17,2%, il Fondo comune di investimento immobiliare quotato il 30,15% e Gepafin s.p.a il 30,15%.
Se il valore iniziale era di 250 mila euro nominali, per un totale di oltre 52 milioni di euro, ora il loro valore è drasticamente sceso e si aggira sui 15 mila euro ciascuno. Ad oggi rimangono solo 5,4 milioni di ricavi e un enorme debito verso le banche creditrici che avrebbero portato al default del Fondo, se queste non avessero accettato una ristrutturazione delle scadenze, in cambio dell’impegno della Regione di acquistare indirettamente gli stessi immobili (di fatto già suoi!), attraverso Asl, Ater e altri progetti.

FONTI
http://www.umbriaon.it/perugia-a-monteluce-un-buco-milionario/

http://www.consiglio.regione.umbria.it/comparto-monteluce-unoperazione-fallimentare-dagli-aspetti-paradossali-zaffini-an-pdl)).

Questo tipo di “riqualificazione” del centro storico ha reso il suo spazio più costoso per abitare, studiare, per produrre, per i servizi ed ha favorito un oggettivo processo di espulsione degli abitanti non in grado di pagare questi “incrementi di rendita”.

Perugia: Cemento, Consumo del territorio, Villettopoli

A Perugia, ma è una tendenza che c’è in tutta Italia, c’è e c’è stata la corsa al mattone e alla cementificazione selvaggia che è stato un ottimo modo per alcuni di arricchirsi ed è stata utilizzata dalla politica per creare consenso e assicurarsi voti.

Tutti gli ultimi sindaci hanno spesso fatto ricorso a quella che è stata chiamata la “zecca immobiliare”, ricavando fondi tramite diritti edificatori.

Si è avuta così una proliferazione mostruosa di case, nuovi insediamenti, un aumento della città diffusa sul modello padano-veneto, la cosiddetta “villettopoli” . Cementificazione avvenuta e che avviene seguendo il tracciato della E45, da nord a sud di Perugia.

Centri commerciali, nuovi capannoni e poco più lontano dalla super, case e villette bi-trifamiliari formano un contiunum urbanizzato che corre lungo la E45.

La maggior parte di questi nuovi insediamenti risultano vuoti, vedi il fallimento dell’urbanizzazione dell’area ex De Megni a Ponte San Giovanni con centinaia di appartamenti non completati in stato di abbandono o il sostanziale fallimento della lottizzazione dell’area di Monteluce.

Secondo l’ultimo rapporto di legambiente a Perugia risultano 7.849 case vuote (10,6% non occupate) con 292 procedimenti di sfratto.

Le grandi e media aree commerciali occupano, in umbria un milione di metri quadrati, un negozio ogni 52 abitanti e ogni 500 metri. A questi dati si devono aggiungere il nuovo villaggio della Decatlon a Olmo e la nuova Ikea a Collestrada.

Il rapporto di Legambiente sul consumo del suolo del 2017 ci dice che “l’Umbria è tra le tre regioni con la più alta densità di grande distribuzione (591 mq ogni mille abitanti). Una regione caratterizzata dal«modello Nord», dove le superfici di media e grande distribuzione (oltre un milione di mq formati da 1267 strutture medie e 36 grandi) superano la metà di quelle complessive.

 

Il territorio urbano diventa quindi terreno diretto di accumulazione di ricchezze private a fronte di un peggioramento delle condizioni diffuse di esistenza,  peggiorano i servizi di gestione dei rifiuti, aumentano le perdite delle reti idriche, diminuiscono i servizi di mobilità pubblica e peggiora la qualità dell’aria.

Precedente: Cosa succede in città

Tentativi di gentrificazione falliti

Alla fine il vagheggiato trasferimento di “abitanti di prestigio”, cioè di quelli che avrebbero potuto sostenere e sopportare i maggiori costi di questa “riqualificazione” e che avrebbero considerato l’insediamento nell’area del centro storico una questione di status, non è avvenuto. Del resto, gli eventi spettacolari da “Umbria Jazz” a “Eurochocolate”, al festival del Giornalismo e la stessa candidatura di “Perugia-Assisi a capitale europea della cultura-2019” non hanno prodotto la sperata rigenerazione promozionale del territorio e relative ricadute economiche. La fabbrica degli eventi sostenuta da Fondazioni, banche, enti locali etc. ha accresciuto la cosiddetta competitività del territorio solo attraverso la creazione di forme di lavoro-precario, diffuso, intermittente ad alta intensità di conoscenza e a bassa intensità di diritti e reddito.

Tutta la rèclame sulla costruzione di un sistema terziario avanzato, per agganciare il nodo locale ad una rete globale, si è tradotta nel profitto di un’élite privilegiata e grigia disposta a fare affari anche con la mafia. Infatti la Commissione regionale Antimafia dichiara: “è sempre più evidente che l’insidia principale e più diffusa per l’Umbria riguarda il riciclaggio di denaro illecito, un problema che la crisi economica ingigantisce…”

 

Risultati migliori non ha dato il tentativo, sullo sfondo della “città-impresa”, di rigenerare alcuni spazi del centro storico sulla base di “nuove” forme di consumi centrati su immaginari di vita creativa in comunità ecologiche-raffinate-familiari (vedi V. della Viola, C.so Cavour etc.). La valorizzazione della dimensione comunitaria e’ vero, può avere la funzione di leva della competitività economica delle città, come racconta la retorica neoliberale, ma questa valorizzazione si rivela fragile e inevitabilmente conflittuale quando ruota attorno ad un lavoro ancora una volta malpagato o gratuito comunque precarizzato seppure creativo, positivo e gratificante. Quella che viene definita “la svolta culturale” nel governo urbano in sostanza coincide invece con la gentrificazione di intere aree dei quartieri. Le istituzioni locali assumono cioè un metodo di governo mutuato dall’economia di mercato. Un metodo che al declino di intere aree come luoghi di produzione e riproduzione sociale risponde con una rivitalizzazione del settore commerciale e dell’intrattenimento, con l’introduzione di meccanismi di mercato, con strategie di privatizzazione dei beni ambientali come acqua, aria, terra, che portano inevitabilmente con loro fenomeni di esclusione e polarizzazione delle disuguaglianze sociali.

 

Attualmente i progetti di “risanamento, rigenerazione” di alcune aree della città di Perugia, vedi l’area Bellocchio-Fontivegge, sperano di riproporre gli stessi generici criteri di privatizzazione degli spazi dismessi o sospesi. Ciò che oggi viene definita “rigenerazione urbana”, nel quartiere Bellocchio-Fontivegge, ripropone una modalità generale del governo urbano che da un lato giustifica deroghe al piano regolatore, cambi di destinazione d’uso degli immobili (come pratiche di accelerazione della riqualificazione delle “aree degradate”) e dall’altro legittima la continuità con lo stile di comportamento aziendale/manageriale delle amministrazioni precedenti, un “ritorno al mercato”, cioè a vecchie pratiche predatorie con progetti invasivi di impronta fortemente speculativa, che dominano da più di vent’anni la vita di questa città. In città insomma non succede niente di nuovo, le vecchie amministrazioni e la nuova hanno fatto proprio solo lo stile “imprenditoriale” che sotto il paravento della “rigenerazione delle aree degradate” non fa altro che svendere la città agli investitori privati, senza nessun piano strategico.

 

Questa è una delle conseguenze più evidenti delle varie crociate per la sicurezza e la difesa della città che nulla hanno a che fare con i reali tassi di criminalità.

Sentimenti d’insicurezza, di pericolo, di inquietudine (( approfondisci )) diffusi dai media locali hanno aperto la strada alla mercificazione di un intero quartiere e alla moltiplicazione di dispositivi di sicurezza, controllo (( Sono in tutto 12 le nuove telecamere che verranno installate a Perugia nelle prossime settimane. Due di queste sorvegliano già un pezzo di città, ovvero la rotatoria all’ingresso della galleria Kennedy e l’intersezione con via XIV Settembre, all’uscita. Occhi manovrabili dalle centrali operative delle forze dell’ordine ma che oggi hanno un difetto, ovvero non sono state concepite per il rilevamento della targa dei veicoli, fattore che può rivelarsi importante nel corso di un’indagine. A queste esistenti dunque se ne aggiungeranno altre due, in grado di rilevare le targhe, che verranno installate nei pressi dei due ingressi della galleria per una spesa di 7.198 euro. http://www.umbria24.it/attualita/perugia-12-nuove-telecamere-due-rileveranno-anche-le-targhe-la-mappa-da-via-dei-filosofi-alle-aree-industriali)) e militarizzazione dello spazio urbano che non hanno mai evitato neppure un furto… Infatti la militarizzazione del territorio urbano in realtà nasconde e promuove l’ideale di una città come aggregato di interessi unito intorno all’espropriazione dello spazio, delle risorse culturali e artistiche per asservirle alla logica del profitto ma non c’entrano nulla con la sicurezza dei cittadini. Interi quartieri della città vengono associati ad arte al senso di insicurezza e paura provocato dalla microcriminalità presentata come dilagante e spietata anche se i dati ufficiali ((

Dati ufficiali 2016 Giurisprudenza Perugia
La tabella 1 riporta tre indicatori basati sulle statistiche relative ai reati denunciati e
perseguiti. Inoltre, la stessa tabella evidenzia in regione Umbria una situazione generale meno criminogena rispetto alla situazione sia nazionale che del Centro Italia e abbastanza stabile tra il 2011 e il 2014. In particolare, il tasso di microcriminalità per 1.000 abitanti è stabile al 20 per mille tra il 2004 e il 2014 e pone l’Umbria in una posizione decisamente migliore rispetto all’intero Paese (con un tasso superiore a 26) e del Centro Italia (con un tasso superiore a 30).
Diversamente, come mostrato dalla tabella 2, le percezioni di allarme sociale nei confronti della criminalità da parte delle famiglie residenti in Umbria sono più elevate che nel resto del Paese e sono in crescita.
Nel 2015 il 47,5% delle famiglie umbre, intervistate da Istat, riteneva molto o abbastanza diffusa la presenza di criminalità nella propria regione, rispetto al 41,1% in Italia e al 44,6% del Centro Italia.
Tale livello di allarme, inoltre, risulta in crescita dal 2010, quando in Umbria era poco
superiore al 21%.
http://atti.crumbria.it/pdf/2017/N152749.PDF

)) indicano una decrescita dei delitti più gravi.

Le conseguenti politiche di repressione vengono giustificate come necessarie ed efficaci, quando invece hanno ben poca forza deterrente e non fanno altro che riempire le carceri di disgraziati senza speranza di riscatto sociale o a portare i cani antidroga nelle scuole.

 

La “cultura della paura” ha la capacità di dirottare l’attenzione e la preoccupazione dell’opinione pubblica dalle vere cause dell’insicurezza e della invivibilità urbana (( Rapporto di legambiente su ecosistema urbano: Perugia peggiora vivibilità
https://www.legambiente.it/sites/default/files/docs/ecosistema_urbano2016.pdf )) , evitando conflitti sociali intollerabili per l’ordine economico dominante e perdita di consenso dei gruppo politici espressi da tali forze economiche.

Il governo del territorio urbano attraverso la paura serve essenzialmente a legittimare nell’opinione pubblica la speculazione immobiliare di intere zone della città per un piatto di lenticchie, quello degli oneri di urbanizzazione.

Intanto cresce una condizione di marginalità articolata in una “pluralità di miserie di posizione”, le une diverse dalle altre: ogni persona con la sua propria sofferenza, e solitudine, e una particolare declinazione di malessere e povertà.

PRECEDENTE: Perugia: Cemento, Consumo del territorio, Villettopoli

Perugia.zip

Anche se con una serie di progetti formalmente separati  Perugia tenta di realizzare una sua Agenda Urbana, di allinearsi a quella visione di città oggi dominante che è la “smart city” e di avviare processi di gentrificazione del centro storico. Ingenti fondi sono stati stanziati dalla Comunità Europea, dal governo centrale e dalla Regione Umbria (circa 40 milioni di euro) per quelli che vengono definiti genericamente progetti di rigenerazione urbana. Tra questi ricordiamo la maxi-riqualificazione di Fontivegge grazie al Bando Periferie finanziato dal Governo per 16 milioni di euro. Il progetto Perugia.zip per cui sono stati stanziati 11 milioni e 600 mila euro “per progettualità che vanno dalla mobilità sostenibile, all’inclusione sociale, alla tutela e alla messa in rete del patrimonio artistico e culturale cittadino fino alla riduzione dei consumi energetici. “ A questi si aggiungono la realizzazione della Biblioteca degli Arconi per cui la Regione ha stanziato 3 milioni e 400 mila euro. Il completamento dell’Auditorium di San Francesco al Prato per cui la Regione ha stanziato 2 milioni e 800 mila euro. Il Mercato Coperto per cui la Regione ha stanziato 4 milioni e 850 mila euro. Il Cinema Teatro Turreno per cui la Regione ha stanziato 3 milioni e 100 mila euro. La riqualificazione dell’area industriale di Sant’Andrea delle Fratte su cui la Regione Umbria ha investito 2 milioni e 500 mila euro. La nuova destinazione d’uso dell’ex-carcere di Piazza Partigiani.

Connessi globalmente Sconnessi localmente

Perugia.zip rappresenta il tentativo di realizzare un’Agenda Urbana perugina. Questo progetto si basa sulla scelta strategica di riconnessione e integrazione fra il centro storico cittadino e l’area di Fontivegge. Fondamentale dunque risulta il miglioramento della mobilità legato al trasporto pubblico e alle nuove tecnologie. Queste due zone della città dovrebbero trasformarsi in contenitori di servizi unici per la cultura e il turismo. In linea con la visione ideologica delle “smart city” Perugia.zip mira a “ridurre i conflitti”, “sostenere stili di vita positivi”, a “creare una città delle persone, dei giovani, delle famiglia (la famiglia viene definita nella presentazione del progetto: “cintura di sicurezza”) e dei bambini”. In questa città in versione Mulino bianco è “un processo di riqualificazione delle relazioni sociali” (secondo valori presentati come impolitici e condivisi a-priori) a promuovere un processo di riappropriazione della città e degli spazi pubblici che in realtà si tradurrà in aumento degli affitti, nella deportazione di molti degli attuali residenti verso spazi più periferici ed economici, cioè in nuovi spazi di segregazione.

Per quanto riguarda l’area di Fontivegge si propone una ricucitura articolata e sistematica con il centro storico, che interesserà oltre il tema della “multi-modalità” dei trasporti anche quello della fruizione agevole degli spazi e delle aree verdi, di esperienze di animazione sociale… Naturalmente, finora, la partecipazione degli abitanti delle aree urbane interessate si è limitata alla retorica dell’intervento online o a qualche riunione nei Cva, dando per scontata una condivisione di base di valori, bisogni e necessità che in realtà è tutta da verificare. Del resto la presentazione del progetto non menziona alcuna ricerca sulla composizione sociale degli abitanti dei quartieri oggetto di “rigenerazione urbana”, né di quali sono le loro priorità sociali quotidiane. Ogni trasformazione urbana viene legittimata con l’ideologia della paura e del degrado urbano condita con una infatuazione tecnologica che parla di pali della luce intelligenti o alimentati da motricità umana…

Come ha scritto qualcuno: “quando osserviamo il linguaggio attraverso il quale la smart city viene rappresentata, tipicamente vediamo delle forme semplicistiche ed infantili con bordi tondi e colori sgargianti. I cittadini che la smart city dichiara di servire sono trattati come infanti. Ci imbeccano di giulive icone della vita urbana, integrata con dei dispositivi innocui, tutto collegato a piacevoli diagrammi nei quali cittadini e imprese vengono circondati da via via crescenti cerchi di servizio che creano delle bolle di controllo.”

La “smart city” non a caso può essere letta anche come un dispositivo di disciplinamento sociale, un’ideologia usata dalle élite urbane per modellare lo spazio urbano, assicurarsi un certo tipo di accumulazione economica e di potere. Questa nuova ideologia urbana da un lato mira a produrre una specifica forma di forza-lavoro e dall’altro a depoliticizzare la città attraverso una visione sociale in cui scompare l’esclusione, in cui non esistono conflitti e tutti condividono gli stessi valori e gli stessi bisogni. Sopravvivere nel mercato internazionale urbano per una città in sostanza vuol dire offrire agevolazioni fiscali, lavoro flessibile ed anche precario, cultura, divertimento… Nella visione neoliberale la “smart city” ha il compito di produrre capitale sociale, nello specifico una forza-lavoro dotata di una peculiare personalità, di un modo di vita che incide sui valori e le competenze e in cui le doti più ricercate sono la flessibilità, l’adattamento, l’individualizzazione e le capacità relazionali. Per farla breve “il creativo” sarebbe l’intellettuale organico della “smart city”.

L’infatuazione tecnologica che accompagna l’ideologia delle “città intelligenti” non significa necessariamente, come si lascia intendere, un miglioramento della qualità della vita ma spesso un plasmare i bisogni sociali sulle tecnologie e non viceversa. Nella cosiddetta “città intelligente” si attua una “programmazione strategica”, ovvero accanto a luoghi accessibili a pochi, iper-curati e tecnologicamente avanzati e connessi con il resto del mondo si contempla l’esistenza di luoghi marginali, periferici, sconnessi globalmente ma ancor più localmente.

La “città intelligente” oggi si presenta come una visione di città indiscutibile, risultato di una razionalità immanente, tecnologicamente oggettiva mentre si tratta di un’ideologia che procede da un pensiero astratto, che prevede un preciso rapporto fra un potere dominante che idea e un gruppo dominato che esegue. Come si sarebbe detto in altri tempi: l’esito del processo che crea lo spazio urbano è definito proprio dal rapporto tra potere e collettività: La città diventa una merce quando il potere decide di limitarsi a comandare e la collettività ad eseguire alienata.

Perugia decadence

Principalmente l’analisi della “criticità” dell’area di Fontivegge” si orienta sulla questione della sicurezza : “Per tale ambito si comprende come tutta la zona, ed in particolare l’area coperta dell’Ex Upim, il sottopasso laterale in uscita dalla piazza della stazione verso la farmacia, ma anche la stessa Piazza del Bacio, genera uno stato di insicurezza, di non tranquillità, di rischio potenziale per chi la frequenta o l’attraversa per usare i vari vettori. La stessa area, va tenuto conto, è anche interessata da noti fenomeni di spaccio di droga, una realtà i cui effetti e implicazioni negative si distribuiscono e si irradiano nelle dinamiche sociali e di vita dei vari quartieri, nonché a livello esistenziale di persone e famiglie. Un intervento su questo aspetto può quindi generare riscontri positivi per il complesso della città e non solo. Si segnala, tra l’altro, la mancanza di un presidio fisico di forze dell’ordine che rafforzi la percezione di sicurezza.” (ricerca effettuata dal comune)

Come scrive Bauman, l’esperienza della insicurezza esistenziale e dell’incertezza viene dirottata nella preoccupazione generale per le minacce alla sicurezza personale. “Questo spostamento è politicamente (cioè elettoralmente) allettante e ciò per una ragione pragmatica molto convincente. Poiché le radici dell’insicurezza affondano in luoghi anonimi, remoti o inaccessibili, non è immediatamente chiaro che cosa i poteri locali, visibili, possano fare per porre rimedio alle afflizioni locali. Se si riflette attentamente sulle promesse elettorali dei politici per migliorare la vita di tutti aumentando la flessibilità dei mercati del lavoro, favorendo il liberismo, creando condizioni più allettanti per i capitali stranieri ecc., si possono cogliere, casomai, i segni premonitori di una maggiore insicurezza e incertezza. Ma sembra esistere una risposta ovvia, all’altro problema, quello connesso alla sicurezza personale dei cittadini in quanto collettività. I poteri statali locali possono sempre essere impiegati per chiudere le frontiere ai migranti, per inasprire le norme sul diritto d’asilo, per fermare ed espellere gli stranieri indesiderati, sospettati di possedere inclinazioni odiose e condannabili. Possono mostrare i muscoli combattendo i criminali, <<essere inflessibili nella lotta al crimine>>, costruire più prigioni, mandare più poliziotti in servizio attivo, rendere il perdono dei condannati più difficile e persino, per soddisfare i sentimenti popolari, seguire la regola <<criminale una volta criminale per sempre>>.

Per farla in breve, i governi non possono francamente promettere ai cittadini un’esistenza sicura e un futuro certo; ma possono per il momento, almeno in parte, alleviare l’ansia accumulata ( approfittandone anche a fini elettorali) con l’esibire la loro energia e determinazione in una guerra contro gli stranieri in cerca di lavoro e altri stranieri penetrati nel giardino di casa, un tempo pulito e tranquillo, ordinato e accogliente…

La classe politica locale, incapace di immaginazione strategica riguardo al governo della crisi economica e sociale che investe l’Umbria, supplisce a questa debolezza con una deriva securitaria, con la militarizzazione del territorio, con una spirale repressiva che diventa di elezione in elezione un pozzo senza fondo.

Non meraviglia allora che l’onorevole Bocci del PD, in un’interrogazione parlamentare del 2011, chiedeva all’allora ministro dell’interno Maroni di valutare “la proposta del Sindaco di Perugia (allora Boccali) che prevedeva l’apertura di un CIE in Umbria”…

Sono divenute strutturalmente vacillanti la famiglia, la comunità, il vicinato, il quartiere, la città stessa nella quale gruppi di popolazione differenziati in base a criteri di età, genere, classe, dis/abilità, etnicità, preferenze sessuali, cultura, religione hanno rivendicazioni diverse e lontane da vecchie modalità di aggregazione confortevoli e automatiche.

Nella città esistono problemi di una complessità tale che non potranno essere risolti né dalle istituzioni né dal mercato e neppure dalle tradizionali forme di conflitto basate sulla protesta e sulla rivendicazione. Per andare oltre è necessario praticare l’obiettivo, formulare una domanda di condivisione dello spazio-tempo urbano, liberato dal valore di scambio e riconsegnato, grazie alla partecipazione degli abitanti e alla loro azione, al suo valore d’uso.
Ma esiste la voglia di reclamare un diritto alla città non concepito come la possibilità di accedere a ciò che già esiste ma piuttosto come il diritto a cambiare l’esistente attraverso la reinvenzione della vita urbana, come trasformazione della città stessa?

Per trasformare una città probabilmente c’è bisogno di tornare ad esperienze di partecipazione ed auto-organizzazione sociale che offrano nuove forme di vita. Oggi più che mai per vincere la miseria del quotidiano servirebbe una progettazione sociale che possa cambiarci l’esistenza, un contesto a cui legarsi ed appartenere, insomma una vita da vivere.

“Il diritto alla città ha senso solo se pensato come un diritto materiale, ovvero come qualcosa che non esiste se non nelle lotte concrete che lo realizzano.

Inoltre il tema del diritto alla città non può essere pensato come un ritorno nostalgico a una città che è stata, in cui si annullano le differenze e le contraddizioni, pensiamo che sia una idea reazionaria desiderare la città che fu ordinata, pulita, senza conflitti.

Non si ha diritto alla città se non c’è redistribuzione della ricchezza prodotta dal territorio.

A partire da qua, il resto, è tutto da discutere.

Ovviamente si ri-parte da dove si è con quello che si ha. E noi non abbiamo nient’altro che la volontà di cambiare l’esistente.