La città è una fabbrica e il target è la tua mente

La città, lo spazio urbano e le reti di comunicazione che la innervano, così come l’acqua, l’aria e la terra, si presentano come condizione comunitaria, generale della produzione capitalistica. Il capitalismo usa queste condizioni di produzione in modo distruttivo e così facendo crea un conflitto di classe (( La città, con il capitalismo, è divenuta strumento dei processi di alienazione ma anche luogo della possibilità e della chance rivoluzionaria. La dicotomia città-campagna è ormai superata e la formazione di grandi centri abitati è la tendenza, ormai in tutto il mondo. L’urbanizzazione in questi termini in paesi come la Cina e le sue megalopoli ha spinto milioni di persone a migrare verso le città con la costituzione di immensi ghetti fortemente controllati con telecamere, muri di cinta e posti di guardia; abitati per lo più da ex-contadini e lavoratori migranti. Questi ghetti hanno spinto la borghesia, in preda a nevrosi securitarie, in costante crescita non solo in Cina ma anche nel resto del mondo n.d.r,  e chiudersi in ghetti per ricchi.

I problemi di controllo che derivano dalla vecchia idea di periferia, vista come focolaio di possibili rivolte porta alla trasformazione degli stessi in quartieri dormitorio privi di socialità ma con l’unico scopo della creazione quindi di città-macchina, in cui gli abitanti devono tendere ad un’umanità macchinizzata. Questa concezione viene sviluppata nella “Carta d’Atene” nel ’33 da un pool di architetti di importanza mondiale.

Nonostante tutto la conflittualità espressa dai territori con i propri rapporti sociali e culturali è comunque sia viva, ne sono esempio in Italia realtà come quella del movimento No Tav in Valle di Susa o le rivolte nei quartieri napoletani durante la crisi dei rifiuti del 2005, o come in Francia nelle rivolte delle banlieues.

La riappropriazione della città, con i suoi modi diversi di socialità e cultura è una possibilità concreta per la creazione di una lotta di classe che vada contro il delirio totalitario dell’economia e della governance, con la creazione di un immaginario condiviso nuovo e nuovi desideri. https://ilconformistaonline.wordpress.com/2015/03/20/la-lotta-per-liberare-lo-spazio-urbano-sara-la-nuova-lotta-di-classe/))  che si presenta sotto forme indirette e non consapevoli (non immediatamente come conflitto di classe) nelle forme della questione del benessere fisico e mentale delle persone, della socialità mercificata, della qualità ambientale, dell’istruzione, della sanità, di impiego delle risorse naturali etc. Il capitale tende a trattare le condizioni collettive e generali della produzione come lo spazio urbano, la natura, la cultura etc. come merci. Diventa sempre più chiaro che sia lo spazio urbano che la natura sono espropriati dal capitale che li tratta come strumenti della propria riproduzione e non come mezzi di riproduzione della vita e della società umana.

La nuova ideologia urbana delle “smart city” tenta di recuperare l’illusione di comunità (ecologica, sostenibile, inclusiva etc.), della coincidenza tra spazi di vita e di lavoro, proprio mentre l’associazione tra precarietà e disgregazione sociale si fa sempre più stretta e la società risponde sempre più ad una logica di esclusione e di separazione fra le classi.

Il paradigma culturale che accompagna questa idea di città intelligente si fonda su tre concetti fondamentali: informazione, ecosostenibilità, inclusività. Sono queste le categorie con cui si cerca di orientare la mentalità, gli stili di vita e i linguaggi della popolazione urbana. Al di là dell’ideologia ufficiale però lo spazio urbano, le condizioni ambientali e sociali dei territori, vengono subordinati alla crescita del mercato che crea forme auto-distruttive di proletarizzazione della natura umana, del benessere fisico e mentale dei lavoratori. Queste forme di mercificazione producono costi sociali crescenti sotto forma di costi per la salute, per fronteggiare il deterioramento dell’ambiente sociale e naturale, delle condizioni personali di esistenza delle persone.

Lo sfruttamento economico, il nuovo valore ideologico per eccellenza, le contraddizioni che genera vengono risolti come nuove contraddizioni interne agli individui, liquidando il Welfare, creando divisioni nella forza-lavoro multietnica, sottraendo il controllo del territorio alle comunità locali, desertificando socialmente quartieri e strade, imponendo agli sfruttati politicamente l’autodisciplina ed economicamente l’austerità e la flessibilità. In particolare negli scenari urbani, luoghi di nuove polarizzazioni sociali e di strisciante conflitto si è dato vita all’amministrazione di una “sicurezza ideologica” organizzata creando un’insicurezza molecolare permanente fatta di mille piccole paure quotidiane. Il comando capitalista governa il territorio infiltrando la paura nella coscienza degli sfruttati e introducendo ideologie funzionali come quella del “decoro urbano”. Come ha scritto “Zeropregi” sul blog del Manifesto:

<<Leggo testuale dal giornale di ieri: “Sicurezza, più militari e accattonaggio vietato vicino ai monumenti”. E aggiungo: “Più poteri ai sindaci di difendere i centri storici ed i monumenti delle nostre città. Al sindaco dovrebbero essere concessi dei poteri di ordinanza relativi all’ordine pubblico, modello movida, per rendere alcune zone del centro off limits anche all’attività di accattonaggio e carità molesta”. Oggi invece prende forma un’idea che a giudicare folle, se non bestiale, è dir poco. Sempre dal Messaggero ma di oggi: “Stretta sul decoro: ipotesi Daspo per prostitute e mendicanti”. E nell’articolo viene spiegato meglio: “Affidare maggiori poteri di polizia a questori e prefetti anche in materia di decoro e degrado urbano. Ovvero dar loro la possibilità di intervenire su temi che vanno dalla prostituzione al cosiddetto accattonaggio, passando per i locali notturni troppo rumorosi, con provvedimenti interdittivi. Per fare l’esempio più noto alle cronache, l’ipotesi su cui sta lavorando il ministero dell’Interno, darebbe a questori e prefetti la possibilità di applicare anche in queste materie ordinanze analoghe al Daspo, il provvedimento col quale attualmente possono impedire l’ingresso allo stadio ad alcuni tifosi, a prescindere da eventuali responsabilità penali.

Ma che significa “decoro”? Un normale dizionario spiega che il decoro è un “complesso di valori e atteggiamenti ritenuti confacenti a una vita dignitosa, riservata, corretta”. Quindi ha poco a che vedere con la povertà. Offrire una vita dignitosa dovrebbe essere un obiettivo di qualsiasi governo, contrastare la povertà idem. Il problema è che non si combatte la povertà bensì chi è povero. La parola decoro viene unita alla parola degrado e il tutto associato all’insicurezza. I “bloggers antidegrado” accozzaglia discutibile di personaggi che lanciano le loro crociate on line verso poveri, migranti e rom tanto quanto contro i disservizi della città diventano punto di riferimento per gli stessi amministratori cittadini. Quindi se la città è sporca è colpa di chi rovista nei cassonetti. Se i mezzi pubblici sono fatiscenti è colpa di chi non paga il biglietto. Se il patrimonio pubblico/artistico di questa città è tenuto male è colpa degli hooligans venuti da fuori o di chi mendica, creando un circolo vizioso che contrappone gli indigenti ai cittadini, come se entrambi non fossero parte dello stesso tessuto sociale. Con i suoi pro e i suoi contro. Nel frattempo nessuno denuncia il fatto che gli stessi governanti, attraverso i tagli alla cultura e ai servizi, sono i primi a creare lo stesso “degrado” che cercano di sconfiggere a colpi di ordinanze.

Una cosa è certa che “l’ideologia del decoro” è qualcosa che coinvolge amministrazioni di destra e di sinistra, per una trasversalità pericolosa. Una ideologia perversa, moralista, che non crea cittadinanza, non crea solidarietà ma piccoli sceriffi armati di smartphone pronti a fotografare il mendicante di turno o chi rovista nei cassonetti. I nuovi nemici da combattere sono quelli che raccolgono le briciole di quel che consumiamo. Quelli che non vestono come noi o che non hanno la stessa “accessibilità ai consumi”. Un egoismo sociale, moralista appunto, che fa del cittadino educato che non butta le carte in terra, un buon cittadino. Che crea disuguaglianze invece di costruire un tessuto sociale. Che fa leva sulle paure di chi ci sta intorno invece di liberarci dalle paure. Che trova il degrado nella prostituta e non nello sfruttatore, nelle reti della tratta, o anche semplicemente nel cliente della prostituta, il problema. Importante è che non parcheggi in doppia fila e che paghi puntualmente il biglietto.>>