La Città Impresa

Con l’affermarsi del modo di produzione capitalistico la città diventa sempre più una variabile del processo economico. Un processo la cui dinamicità impone una continua mutazione dell’essere stesso della città, della sua organizzazione spaziale e sociale.

Nel secondo dopoguerra il contrasto geopolitico tra i blocchi e la necessità di arginare il conflitto di classe portano all’affermarsi del Welfare State ((Il processo storico ha mostrato un “doppio legame” tra lotta di classe e stato sociale. da un lato la lotta di classe e i rapporti di forza, in quella fase a favore dell’operaio massa, hanno costretto stato e capitale a redistribuire il reddito. dall’altro questa redistribuzione finiva per essere 2 volte serva del capitale:
-1- serviva a risolvere la crisi di sovrapproduzione di capitale emersa nel 29 e non risolta nemmeno dalla 2′ guerra mondiale.
2- serviva a creare quel consenso sociale che ha permesso al sistema di soppravvivere in una fase storica in cui sembrava poter essere rovesciato dal potere conquistato dall’operaio massa.)) , cioè di una serie di provvedimenti politici che toccano la questione urbana ( politiche per la casa, l’assistenza sanitaria, le pensioni, l’istruzione di massa e il contrasto alla disoccupazione).

Negli anni ’80 gli equilibri politici mondiali cambiano e comincia ad emergere quella che verrà definita la crisi fiscale dello Stato a cui si risponderà con una cultura politica di restaurazione e di smantellamento dello Stato Sociale. Il liberismo estremo, portato avanti dal Thatcherismo e Reaganismo, diventerà la filosofia politica di tutti i paesi occidentali che in suo nome avviarono processi di deregolazione dei flussi finanziari, di tassazione indiretta, di vendita del patrimonio pubblico, di riduzione della spesa pubblica… In questo contesto la questione urbana assume la faccia della povertà, della drastica riduzione dell’assistenza sociale, della divisione di classe dello spazio, della crescita del disagio e della marginalità sociale.

Come scrive F. Indovina ((Francesco Indovina, la nuova “questione urbana” in “ARCHIVIO DI STUDI URBANI E REGIONALI” 110/2014, pp. 147-154, DOI:10.3280/ASUR2014-110010)) la vittoria (a livello sociale e istituzionale) della politica liberista degli anni ’80 “ha creato da una parte l’esaltazione dell’individuo con, di fatto, la distruzione o la messa in crisi di tutti i corpi intermedi e la riduzione del conflitto, dall’altra ha ridotto la capacità di intervento pubblico, limitandone le risorse. In questa situazione ha preso corpo e tende a svilupparsi una nuova forma politica che potremmo chiamare social-liberista, una politica che non cerca di affrontare le questioni sociali strutturali in campo (la disoccupazione, l’immigrazione, la casa, l’invecchiamento della popolazione, la salute, la povertà, ecc. e soprattutto il super potere della finanza internazionale) ma piuttosto individua nel partenariato pubblico-privato lo strumento per la mobilizzazione del capitale ((Nel partenariato pubblico-privato è interessante notare come la politica social liberista abbia fortemente ridimensionato la capacità di orientare la ricerca verso interessi pubblici e di carattere sociale: il paradigma da seguire è quello del mercato per cui la ricerca si orienta seguendo i suoi andamenti.
Un esempio è il caso del nocciolo, su cui diverse regioni italiane stanno facendo ricerca dal momento in cui Ferrero ne ha richiesto quantità industriali: l’interesse della casa multinazionale è quello di risparmiare sulla materia prima nel momento in cui non era più possibile farlo con i mercati esteri.)), per sfuggire ai vincoli di bilancio pubblico, e per offrire all’opinione pubblica ricette nello stesso tempo ambiziose e spesso fasulle.

Il terreno fertile per questa nuova dimensione social-liberista è soprattutto la città e l’organizzazione del territorio.

Parafrasando D. Harvey, la recentissima e radicale espansione del processo urbano ha comportato una straordinaria trasformazione degli stili di vita. La qualità della vita urbana, e la città stessa, sono divenute una merce riservata a coloro che hanno i soldi, in un mondo in cui il consumismo, il turismo, l’industria della cultura e della conoscenza, così come il perenne ricorso all’economia dello spettacolo, sono diventati i principali aspetti dell’economia politica urbana. La tendenza postmoderna a incoraggiare la formazione di mercati di nicchia, sia nella scelta di uno stile di vita urbano sia nelle abitudini di consumo anche culturale, conferisce all’esperienza urbana contemporanea un’aurea di libertà di scelta sul mercato, purché si possiedano sufficienti mezzi finanziari e si riesca a proteggersi dalla privatizzazione della ricchezza circolante e dalle pratiche fraudolente e predatorie dei colletti bianchi. Centri commerciali, cinema multisala e ipermercati nascono come funghi (mettendo in moto un grosso giro d’affari), così come i fast food, i mercati dell’artigianato, i negozi etnici e i caffè, insieme alla vendita di stili di vita comunitari e sofisticati che finiscono con il produrre quella che S. Zukin chiama “pacificazione con cappuccino”.

 

Alla crisi del Welfare, alla drastica riduzione dei trasferimenti statali agli enti locali, le città e i territori rispondono facendosi una concorrenza spietata per l’accesso ai mercati globalizzati, alle risorse e alle attività, che vanno dall’investimento estero, al turismo, alle manifestazioni internazionali. Oggi la città non solo espone le sue merci ma diventa merce essa stessa, merce di consumo da esporre sul mercato mondiale. Le città competono tra di loro con strategie di marketing urbano e la promozione del branding urbano diventa un elemento fondamentale per attrarre nuovi residenti, nuovi turisti ma soprattutto nuove imprese ((Per comprendere meglio gli effetti della competizione tra città per attrarre imprese, persone e investimenti si guardi al caso Amazon. Attraverso un bando che invita le città nord americane a candidarsi per ospitare il secondo quartier generale del gruppo, si è instaurata una corsa tra 238 città: chi la vincerà si aggiudica 5 miliardi di dollari in investimenti e cinquanta mila posti di lavoro “pagati molto bene”.
Nel bando è ben descritto quali caratteristiche devono avere le città e cioè dovrà trattarsi di un’area metropolitana con almeno un milione di abitanti, un ambiente business friendly – documentato da testimonianze di grandi compagnie già attive nella zona – buone scuole e università tali da attrarre e mantenere in loco talenti e forza lavoro altamente qualificata, un’ottima dotazione in infrastrutture e trasporti. Requisiti irrinunciabili sono anche una adeguata offerta residenziale, un basso livello di criminalità, un’ampia diversificazione demografica e una ricca gamma di servizi e amenità ricreative, perché, dice il bando, “ vogliamo investire in comunità dove i nostri dipendenti possano godere di un’alta qualità di vita”.
Ovviamente, la compagnia chiede di specificare gli incentivi finanziari offerti dai governi locali e statali (pagati dai cittadini contribuenti), nonché la disponibilità ad approvare nuove leggi ad hoc per aumentare la convenienza finanziaria dell’investimento. Inoltre il bando specifica che sono accettabili sia zone urbane che suburbane, vuote o con edifici abbandonati, purché in posizione pregiata e con molto spazio, e che Amazon vuole avere a che fare con “comunità che pensano in grande e in modo creativo quando si tratta di localizzazioni e scelte di sviluppo”, vale a dire sono disposte ad adottare norme e regolamenti edilizie e urbani tali da non rallentare le sue attività di costruzione.Fra le candidate spicca Detroit, che offre miliardi di dollari di sgravi in cerca di un rilancio non legato solo all’industria automobilistica. New York mette sul piatto il successo di Google in città e le sue infrastrutture, dagli aeroporti alle universita’, per conquistare Amazon, alla quale non offre però sgravi. Punta molto sulle agevolazioni il governatore del New Jersey, Chris Christie, che propone ad Amazon agevolazioni per 7 miliardi di dollari. Secondo alcuni è pero’ Austin, in Texas, la città favorita per i bassi costi della vita anche a fronte di una qualita’ elevata e per le norme pro-business del Texas.
FONTI
http://www.eddyburg.it/2017/09/hq2-il-bando-di-amazon-che-scatena-la_11.html
http://www.ladige.it/popular/tecnologie/2017/10/25/amazon-programma-seconda-sede-battaglia-238-citt-americane
http://www.huffingtonpost.it/2017/09/08/jeff-bezos-fondatore-di-amazon-vuole-creare-un-secondo-quartier-generale-dopo-quello-di-seattle_a_23201302/)) . Questa sfida si gioca sui vantaggi competitivi offerti dagli specifici ambienti e per vincere tale sfida non basta predisporre solamente un’offerta, s’impone che le città i territori diventino a tutti gli effetti, fabbrica di merce, in primo luogo di merce forza-lavoro, di “capitale umano” in determinate quantità e qualità. In questa dinamica gli interessi economici privati finiscono con l’assumere, il più delle volte, le funzioni di governo che determinano e predefiniscono la città, la sua forma, la sua vita. Sempre più frequentemente gruppi industriali-finanziari sono coinvolti nei progetti di valorizzazione del patrimonio immobiliare esistente o direttamente nel campo delle grandi opere. In tutti i casi il territorio finisce con l’essere sacrificato sull’altare della massimizzazione del capitale e della rendita per pochi.

Come osserva D. Harvey: “I risultati della crescente polarizzazione nella distribuzione della ricchezza e del potere sono indelebilmente impresse nelle forme spaziali delle nostre città, che sono sempre più costituite da frazioni fortificate, da comunità chiuse e da spazi pubblici privatizzati e tenuti costantemente sotto sorveglianza.”

SEGUE:  L’Agenda Urbana Europea