Chi Siamo?

Territori da abitare, mondi da costruire
Nella città, esistono problemi di una complessità tale che non potranno essere risolti né dalle istituzioni, né dal mercato e neppure dalle tradizionali forme di conflitto basate sulla protesta e sulla rivendicazione.
Probabilmente c’è bisogno di tornare ad esperienze di partecipazione ed auto-organizzazione sociale, per trasformare una città che é governata contro di noi, contro i nostri bisogni. Governata contro di noi, spesso, con la nostra complicità, quando ci adattiamo alle inefficienze del sistema sanitario, di quello dei trasporti, di quello scolastico, o di quello del Welfare in generale nelle pratiche quotidiane individuali.
Si tratta probabilmente di riappropriarsi e di reinventare collettivamente gli spazi urbani, trasformandoli in incubatori di interazione sociale.
Come ha scritto D. Harvey, “la questione di quale città vogliamo non puo’ essere separata da altre questioni: che tipo di persone vogliamo essere, che rapporti sociali cerchiamo, che relazione vogliamo intrecciare con la natura, che stile di vita desideriamo,che valori estetici riteniamo nostri.”

Da questo punto di vista una città “merce-mercato-impresa” in che cosa ci trasformerà? In “clienti” della merce città? In firmatari di petizioni neofasciste per “l’espulsione degli immigrati clandestini”? Le città fatte solo per far circolare merci e denaro e per organizzare il consumo massificato, non possono che ridurre le persone a fantasmi che hanno paura della propria ombra.

“Riprendersi la Città” non significa cacciare gli “stranieri”, né militarizzare il territorio.
Riprendersi la Città vuol dire ricominciare a vivere i suoi luoghi collettivi, come i parchi; vuol dire uscire di nuovo per strada, smettere di rifugiarsi nei centri commerciali, nelle case…Significa uscire di sera,riappropriarsi della propria vita…

L’apatia e l’alienazione nella quale ci vorrebbero rinchiusi, è forse il primo nemico da combattere e risiede semplicemente dentro ognuno di noi. Lamentarsi delle pessime condizioni di vita che ci vengono offerte non basta, perché prima o poi ci rassegneremo al fatto che l’alternativa non esiste.

Ad ogni ingiustizia che ci viene imposta che non trova una risposta ne seguirà una più grave e così via, finché non ci avranno tolto tutto. Invece, è ora che qualcosa ce lo ricominciamo a prendere, partendo dalle relazioni con chi ci sta vicino e vive le nostre medesime condizioni di vita; relazioni, a cui ci hanno disabituato con il sentimento della paura del diverso e con la convinzione che davanti ad uno schermo possiamo essere in connessione con tutto il mondo, mentre siamo semplicemente isolati nella nostra bolla di solitudine.

Uscire da questa bolla significa connettersi, contaminarsi, mettere in relazione esperienze diverse. Di fronte all’egemonia della paura del diverso e del dividere le comunità per governarle meglio, la risposta deve essere quella in grado di creare una potenza collettiva, un modo diverso di abitare il mondo, attraverso un modello culturale dal basso.

Una comunità che si pone come obiettivo quello di costruire un modo diverso di vivere e di abitare un territorio, se si pone in un orizzonte di allargamento, non può che essere conflittuale, perché in rottura con il modello culturale egemone.

La città si espande, si trasforma.
Il capitalismo si ristruttura e ogni cosa al suo interno viene trasformata se non è capace di dotarsi di mezzi materiali, di un’organizzazione pratica di difesa e attacco e di una produzione infinita di saperi e immaginario capace di delineare una geografia diversa in grado di rendere un territorio impenetrabile da qualunque strategia di recupero governativo.
I nostri mezzi, la nostra produzione di saperi e immaginario e la nostra forza difensiva e offensiva devono agire in modo armonioso..

Abitare e lottare in un territorio vuol dire vivere già un mondo nuovo.

Vogliamo abolire la “politica” solo per poterla realizzare.
Vogliamo abolirla come sfera separata dalla vita quotidiana.
Vogliamo costruire un autonomia che afferma la sua pratica e la sua etica.
Ridiamo alla politica le sue proprietà originarie: un tempo, un luogo, degli esseri, una vita che si fa e si disfa al presente.