Perugia.zip

Anche se con una serie di progetti formalmente separati  Perugia tenta di realizzare una sua Agenda Urbana, di allinearsi a quella visione di città oggi dominante che è la “smart city” e di avviare processi di gentrificazione del centro storico. Ingenti fondi sono stati stanziati dalla Comunità Europea, dal governo centrale e dalla Regione Umbria (circa 40 milioni di euro) per quelli che vengono definiti genericamente progetti di rigenerazione urbana. Tra questi ricordiamo la maxi-riqualificazione di Fontivegge grazie al Bando Periferie finanziato dal Governo per 16 milioni di euro. Il progetto Perugia.zip per cui sono stati stanziati 11 milioni e 600 mila euro “per progettualità che vanno dalla mobilità sostenibile, all’inclusione sociale, alla tutela e alla messa in rete del patrimonio artistico e culturale cittadino fino alla riduzione dei consumi energetici. “ A questi si aggiungono la realizzazione della Biblioteca degli Arconi per cui la Regione ha stanziato 3 milioni e 400 mila euro. Il completamento dell’Auditorium di San Francesco al Prato per cui la Regione ha stanziato 2 milioni e 800 mila euro. Il Mercato Coperto per cui la Regione ha stanziato 4 milioni e 850 mila euro. Il Cinema Teatro Turreno per cui la Regione ha stanziato 3 milioni e 100 mila euro. La riqualificazione dell’area industriale di Sant’Andrea delle Fratte su cui la Regione Umbria ha investito 2 milioni e 500 mila euro. La nuova destinazione d’uso dell’ex-carcere di Piazza Partigiani.

Connessi globalmente Sconnessi localmente

Perugia.zip rappresenta il tentativo di realizzare un’Agenda Urbana perugina. Questo progetto si basa sulla scelta strategica di riconnessione e integrazione fra il centro storico cittadino e l’area di Fontivegge. Fondamentale dunque risulta il miglioramento della mobilità legato al trasporto pubblico e alle nuove tecnologie. Queste due zone della città dovrebbero trasformarsi in contenitori di servizi unici per la cultura e il turismo. In linea con la visione ideologica delle “smart city” Perugia.zip mira a “ridurre i conflitti”, “sostenere stili di vita positivi”, a “creare una città delle persone, dei giovani, delle famiglia (la famiglia viene definita nella presentazione del progetto: “cintura di sicurezza”) e dei bambini”. In questa città in versione Mulino bianco è “un processo di riqualificazione delle relazioni sociali” (secondo valori presentati come impolitici e condivisi a-priori) a promuovere un processo di riappropriazione della città e degli spazi pubblici che in realtà si tradurrà in aumento degli affitti, nella deportazione di molti degli attuali residenti verso spazi più periferici ed economici, cioè in nuovi spazi di segregazione.

Per quanto riguarda l’area di Fontivegge si propone una ricucitura articolata e sistematica con il centro storico, che interesserà oltre il tema della “multi-modalità” dei trasporti anche quello della fruizione agevole degli spazi e delle aree verdi, di esperienze di animazione sociale… Naturalmente, finora, la partecipazione degli abitanti delle aree urbane interessate si è limitata alla retorica dell’intervento online o a qualche riunione nei Cva, dando per scontata una condivisione di base di valori, bisogni e necessità che in realtà è tutta da verificare. Del resto la presentazione del progetto non menziona alcuna ricerca sulla composizione sociale degli abitanti dei quartieri oggetto di “rigenerazione urbana”, né di quali sono le loro priorità sociali quotidiane. Ogni trasformazione urbana viene legittimata con l’ideologia della paura e del degrado urbano condita con una infatuazione tecnologica che parla di pali della luce intelligenti o alimentati da motricità umana…

Come ha scritto qualcuno: “quando osserviamo il linguaggio attraverso il quale la smart city viene rappresentata, tipicamente vediamo delle forme semplicistiche ed infantili con bordi tondi e colori sgargianti. I cittadini che la smart city dichiara di servire sono trattati come infanti. Ci imbeccano di giulive icone della vita urbana, integrata con dei dispositivi innocui, tutto collegato a piacevoli diagrammi nei quali cittadini e imprese vengono circondati da via via crescenti cerchi di servizio che creano delle bolle di controllo.”

La “smart city” non a caso può essere letta anche come un dispositivo di disciplinamento sociale, un’ideologia usata dalle élite urbane per modellare lo spazio urbano, assicurarsi un certo tipo di accumulazione economica e di potere. Questa nuova ideologia urbana da un lato mira a produrre una specifica forma di forza-lavoro e dall’altro a depoliticizzare la città attraverso una visione sociale in cui scompare l’esclusione, in cui non esistono conflitti e tutti condividono gli stessi valori e gli stessi bisogni. Sopravvivere nel mercato internazionale urbano per una città in sostanza vuol dire offrire agevolazioni fiscali, lavoro flessibile ed anche precario, cultura, divertimento… Nella visione neoliberale la “smart city” ha il compito di produrre capitale sociale, nello specifico una forza-lavoro dotata di una peculiare personalità, di un modo di vita che incide sui valori e le competenze e in cui le doti più ricercate sono la flessibilità, l’adattamento, l’individualizzazione e le capacità relazionali. Per farla breve “il creativo” sarebbe l’intellettuale organico della “smart city”.

L’infatuazione tecnologica che accompagna l’ideologia delle “città intelligenti” non significa necessariamente, come si lascia intendere, un miglioramento della qualità della vita ma spesso un plasmare i bisogni sociali sulle tecnologie e non viceversa. Nella cosiddetta “città intelligente” si attua una “programmazione strategica”, ovvero accanto a luoghi accessibili a pochi, iper-curati e tecnologicamente avanzati e connessi con il resto del mondo si contempla l’esistenza di luoghi marginali, periferici, sconnessi globalmente ma ancor più localmente.

La “città intelligente” oggi si presenta come una visione di città indiscutibile, risultato di una razionalità immanente, tecnologicamente oggettiva mentre si tratta di un’ideologia che procede da un pensiero astratto, che prevede un preciso rapporto fra un potere dominante che idea e un gruppo dominato che esegue. Come si sarebbe detto in altri tempi: l’esito del processo che crea lo spazio urbano è definito proprio dal rapporto tra potere e collettività: La città diventa una merce quando il potere decide di limitarsi a comandare e la collettività ad eseguire alienata.