Tentativi di gentrificazione falliti

Alla fine il vagheggiato trasferimento di “abitanti di prestigio”, cioè di quelli che avrebbero potuto sostenere e sopportare i maggiori costi di questa “riqualificazione” e che avrebbero considerato l’insediamento nell’area del centro storico una questione di status, non è avvenuto. Del resto, gli eventi spettacolari da “Umbria Jazz” a “Eurochocolate”, al festival del Giornalismo e la stessa candidatura di “Perugia-Assisi a capitale europea della cultura-2019” non hanno prodotto la sperata rigenerazione promozionale del territorio e relative ricadute economiche. La fabbrica degli eventi sostenuta da Fondazioni, banche, enti locali etc. ha accresciuto la cosiddetta competitività del territorio solo attraverso la creazione di forme di lavoro-precario, diffuso, intermittente ad alta intensità di conoscenza e a bassa intensità di diritti e reddito.

Tutta la rèclame sulla costruzione di un sistema terziario avanzato, per agganciare il nodo locale ad una rete globale, si è tradotta nel profitto di un’élite privilegiata e grigia disposta a fare affari anche con la mafia. Infatti la Commissione regionale Antimafia dichiara: “è sempre più evidente che l’insidia principale e più diffusa per l’Umbria riguarda il riciclaggio di denaro illecito, un problema che la crisi economica ingigantisce…”

 

Risultati migliori non ha dato il tentativo, sullo sfondo della “città-impresa”, di rigenerare alcuni spazi del centro storico sulla base di “nuove” forme di consumi centrati su immaginari di vita creativa in comunità ecologiche-raffinate-familiari (vedi V. della Viola, C.so Cavour etc.). La valorizzazione della dimensione comunitaria e’ vero, può avere la funzione di leva della competitività economica delle città, come racconta la retorica neoliberale, ma questa valorizzazione si rivela fragile e inevitabilmente conflittuale quando ruota attorno ad un lavoro ancora una volta malpagato o gratuito comunque precarizzato seppure creativo, positivo e gratificante. Quella che viene definita “la svolta culturale” nel governo urbano in sostanza coincide invece con la gentrificazione di intere aree dei quartieri. Le istituzioni locali assumono cioè un metodo di governo mutuato dall’economia di mercato. Un metodo che al declino di intere aree come luoghi di produzione e riproduzione sociale risponde con una rivitalizzazione del settore commerciale e dell’intrattenimento, con l’introduzione di meccanismi di mercato, con strategie di privatizzazione dei beni ambientali come acqua, aria, terra, che portano inevitabilmente con loro fenomeni di esclusione e polarizzazione delle disuguaglianze sociali.

 

Attualmente i progetti di “risanamento, rigenerazione” di alcune aree della città di Perugia, vedi l’area Bellocchio-Fontivegge, sperano di riproporre gli stessi generici criteri di privatizzazione degli spazi dismessi o sospesi. Ciò che oggi viene definita “rigenerazione urbana”, nel quartiere Bellocchio-Fontivegge, ripropone una modalità generale del governo urbano che da un lato giustifica deroghe al piano regolatore, cambi di destinazione d’uso degli immobili (come pratiche di accelerazione della riqualificazione delle “aree degradate”) e dall’altro legittima la continuità con lo stile di comportamento aziendale/manageriale delle amministrazioni precedenti, un “ritorno al mercato”, cioè a vecchie pratiche predatorie con progetti invasivi di impronta fortemente speculativa, che dominano da più di vent’anni la vita di questa città. In città insomma non succede niente di nuovo, le vecchie amministrazioni e la nuova hanno fatto proprio solo lo stile “imprenditoriale” che sotto il paravento della “rigenerazione delle aree degradate” non fa altro che svendere la città agli investitori privati, senza nessun piano strategico.

 

Questa è una delle conseguenze più evidenti delle varie crociate per la sicurezza e la difesa della città che nulla hanno a che fare con i reali tassi di criminalità.

Sentimenti d’insicurezza, di pericolo, di inquietudine (( approfondisci )) diffusi dai media locali hanno aperto la strada alla mercificazione di un intero quartiere e alla moltiplicazione di dispositivi di sicurezza, controllo (( Sono in tutto 12 le nuove telecamere che verranno installate a Perugia nelle prossime settimane. Due di queste sorvegliano già un pezzo di città, ovvero la rotatoria all’ingresso della galleria Kennedy e l’intersezione con via XIV Settembre, all’uscita. Occhi manovrabili dalle centrali operative delle forze dell’ordine ma che oggi hanno un difetto, ovvero non sono state concepite per il rilevamento della targa dei veicoli, fattore che può rivelarsi importante nel corso di un’indagine. A queste esistenti dunque se ne aggiungeranno altre due, in grado di rilevare le targhe, che verranno installate nei pressi dei due ingressi della galleria per una spesa di 7.198 euro. http://www.umbria24.it/attualita/perugia-12-nuove-telecamere-due-rileveranno-anche-le-targhe-la-mappa-da-via-dei-filosofi-alle-aree-industriali)) e militarizzazione dello spazio urbano che non hanno mai evitato neppure un furto… Infatti la militarizzazione del territorio urbano in realtà nasconde e promuove l’ideale di una città come aggregato di interessi unito intorno all’espropriazione dello spazio, delle risorse culturali e artistiche per asservirle alla logica del profitto ma non c’entrano nulla con la sicurezza dei cittadini. Interi quartieri della città vengono associati ad arte al senso di insicurezza e paura provocato dalla microcriminalità presentata come dilagante e spietata anche se i dati ufficiali ((

Dati ufficiali 2016 Giurisprudenza Perugia
La tabella 1 riporta tre indicatori basati sulle statistiche relative ai reati denunciati e
perseguiti. Inoltre, la stessa tabella evidenzia in regione Umbria una situazione generale meno criminogena rispetto alla situazione sia nazionale che del Centro Italia e abbastanza stabile tra il 2011 e il 2014. In particolare, il tasso di microcriminalità per 1.000 abitanti è stabile al 20 per mille tra il 2004 e il 2014 e pone l’Umbria in una posizione decisamente migliore rispetto all’intero Paese (con un tasso superiore a 26) e del Centro Italia (con un tasso superiore a 30).
Diversamente, come mostrato dalla tabella 2, le percezioni di allarme sociale nei confronti della criminalità da parte delle famiglie residenti in Umbria sono più elevate che nel resto del Paese e sono in crescita.
Nel 2015 il 47,5% delle famiglie umbre, intervistate da Istat, riteneva molto o abbastanza diffusa la presenza di criminalità nella propria regione, rispetto al 41,1% in Italia e al 44,6% del Centro Italia.
Tale livello di allarme, inoltre, risulta in crescita dal 2010, quando in Umbria era poco
superiore al 21%.
http://atti.crumbria.it/pdf/2017/N152749.PDF

)) indicano una decrescita dei delitti più gravi.

Le conseguenti politiche di repressione vengono giustificate come necessarie ed efficaci, quando invece hanno ben poca forza deterrente e non fanno altro che riempire le carceri di disgraziati senza speranza di riscatto sociale o a portare i cani antidroga nelle scuole.

 

La “cultura della paura” ha la capacità di dirottare l’attenzione e la preoccupazione dell’opinione pubblica dalle vere cause dell’insicurezza e della invivibilità urbana (( Rapporto di legambiente su ecosistema urbano: Perugia peggiora vivibilità
https://www.legambiente.it/sites/default/files/docs/ecosistema_urbano2016.pdf )) , evitando conflitti sociali intollerabili per l’ordine economico dominante e perdita di consenso dei gruppo politici espressi da tali forze economiche.

Il governo del territorio urbano attraverso la paura serve essenzialmente a legittimare nell’opinione pubblica la speculazione immobiliare di intere zone della città per un piatto di lenticchie, quello degli oneri di urbanizzazione.

Intanto cresce una condizione di marginalità articolata in una “pluralità di miserie di posizione”, le une diverse dalle altre: ogni persona con la sua propria sofferenza, e solitudine, e una particolare declinazione di malessere e povertà.

PRECEDENTE: Perugia: Cemento, Consumo del territorio, Villettopoli