Cambiare lo spazio per cambiare noi stessi

(Ovvero della vita espropriata)

 

“Il soggetto non sta tornando, semplicemente perché non era mai partito. E’ sempre stato qui, non certo però come sostanza, ma come problema e come progetto.” (C.Castoriadis)

Come cambiare la città a partire da noi stessi nella miseria della situazione in cui ci troviamo e che traspare dalla mancanza di un tessuto adeguato di comunicazione, di relazione e scambio dei comportamenti e di discussione, dall’assenza di un intreccio ricco di esperienze e saperi? I movimenti continuano ad avere solo momenti parziali di unificazione che usano le scadenze come occasioni per rovesciare la tendenza e riuscire un attimo a socializzarsi per tornare poi, un attimo dopo, a frantumarsi in piccoli cabotaggi, navigazione a vista, in percorsi di sopravvivenza individuale a zig e zag e di auto-sfruttamento, in criteri di appartenenza neo-tribali o retorici e del tutto vuoti di pratica. Oggi la nuova questione urbana ripropone in modo diverso il problema della costruzione di una nuova soggettività proletaria. Una soggettività che si presenta sempre come…problema e come progetto.

Come ricominciare daccapo senza tornare indietro? Pensare di dar vita ad una lotta politica sulla questione urbana oggi significa porre immediatamente le basi di uno scontro sulla gestione del futuro della società, sulla colonizzazione del nostro vissuto quotidiano. Come farlo? Intanto, sicuramente, partendo dal disvelamento critico e radicale del deserto che ci circonda, dalle sabbie mobili di un ultra-individualismo tanto affascinante quanto sterile ed infelice. Come uscire dall’infinita riproposizione dell’identico? Mettersi a fare del bricolage culturale estetizzante non serve, ci vuole qualcosa di più.

Oggi, la gente iperproletaria del nord del mondo accetta abbastanza l’esistente; e quella del sud aspira parecchio ad entrare nella situazione della prima.

Dunque?

Come scriveva R. Alquati “la nostra capacità oggi è una merce, e moltissime delle nostre disgrazie derivano da questo fatto. E ciò è tanto fondamentale per il capitalismo da entrare perfino nella sua definizione(…) uscire dal capitalismo vuol dire innanzitutto demercificare le merci ed in primo luogo la capacità-umana-merce.”